«Uè, ragazze. Mercoledì c’è una conferenza-aperitivo sulla differenza tra i cervelli maschili e quelli femminili in un posticino molto carino che si chiama “Come un albero”. Il tutto costa quindici euro, volete venire?».
Lo so. Messa così non fa proprio gola, ma come dovevo chiederglielo? Lo so. Ascoltiamo professori parlare per ore e ore tutti i giorni e pagare quindici euro per ascoltarne un altro non è proprio un’offerta allettante. Però c’era l’aperitivo e… c’ero io. Modestamente, io li pagherei quindici euro per uscire con me stessa. Mi chiederei: ma perché ti fai il codino in cima alla testa che da lontano sembri un triangolo? Come mai dimentichi sempre di mettere in ammollo i ceci? Sono tre settimane che vuoi mangiare quei ceci! E, poi, la parmigiana di finocchi che hai fatto l’altra volta era veramente tanto buona o hai mentito per balzare agli onori della cronaca?
«Quindici euro? Ma tu sei pazza. Per quindici euro voglio colazione, pranzo e cena» ha risposto la mia compagna di università.
«E ja» ho detto io, facendo gli occhioni. Un’argomentazione - devo dire - molto valida. Chissà se funzionerebbe tra i capi di stato.
Trump: «quanto volete per la Groenlandia?»
Governo danese: «la Groenlandia non è in vendita»
Trump: «e jaaa»
Alla fine ci sono andata, in compagnia di me stessa. Quando sono arrivata, con una decina di minuti di ritardo, la conferenza era già iniziata. Ho preso posto in fondo alla saletta e ho notato subito che ero circondata da capelli bianchi. L’età avanzata degli altri uditori mi ha fatto sperare in una serata distesa e tranquilla. Mi sbagliavo. Ma procediamo con ordine.
A fare la sua presentazione, dall’altro capo della stanza, c’era nientepocodimeno che il professore di Chirurgia Generale della Sapienza, un certo Fabio Procacciante, avente un curriculum più lungo di quello di Cristo nostro signore Gesù. Per i più religiosi: non vi preoccupate, non sto nominando il nome di Dio invano. Ci siamo sentiti qualche settimana fa. Gli ho detto: «senti, io devo fare l’esame di Filosofia della religione, dovrò ripetere il tuo nome per non so quante volte. Dammi un esonero che se mi fanno questione…».
Tornando a noi: il Professor Procacciante, laureato con lode molteplici volte, vanta una casistica operatoria di oltre diecimila interventi chirurgici. È stato Medical Adviser dell’Ambasciata Britannica di Roma, ha ricevuto un’onorificenza dalla Regina Elisabetta e ha recentemente pubblicato un saggio di divulgazione scientifica dal titolo Evoluti per caso. E io stamattina sono riuscita a girare la frittata senza romperla, ma questa non è una gara.
Con un simpatico powerpoint, il Professor Procacciante è riuscito spiegarci che l’uomo è l’unico animale sulla terra ad aver subito un enorme sviluppo cerebrale in molto poco tempo. Ci ha detto anche che è stato praticamente costretto a farlo, perché un bel giorno, qualche milione di anni fa, i movimenti di alcune placche terrestri hanno determinato l’inizio della desertificazione nell’area che noi oggi chiamiamo “africana”. Non essendoci più alberi dove arrampicarsi per proteggersi dai predatori, alcune scimmie hanno dovuto cambiare vita ed evolversi. Sento la fatica solo a pensarci. Io, che non riesco a fare neanche una flessione, come cavolo avrei fatto a evolvermi? A farmi spuntare i pollici opponibili? Ad alzarmi su due gambe e assumere la posizione eretta?
L’evoluzione è una cosa difficile, anzi complessa. Noi siamo abituati a credere che evolversi significhi ‘migliorare’ e invece significa solo ‘aumentare la complessità’. Poi, che questa complessità vada sempre a nostro vantaggio non è mica detto. La burocrazia italiana offre un esempio perfetto: si evolve continuamente e non migliora mai.
E, così, crescendo in complessità, i cervelli degli uomini e delle donne si sono fatti sempre più diversi perché diverso era ciò a cui dovevano pensare. Gli uomini dovevano andare a caccia e proteggere il gruppo dai pericoli esterni, dovevano essere coscienti della propria forza e della possibilità di rispondere con la violenza ad attacchi nemici. Le donne, invece, dovevano gestare e gestire i marmocchi, tenere il fuoco acceso, abbellire la caverna di ossi di mammut, comprare le mutande zebrate ai mariti, e fare tutte quelle cose di cui i Flintstones rendono un’autorevole testimonianza. Venendo al giorno d’oggi: è cambiato molto ma non tutto. Tanti uomini sono rimasti violenti e molte donne sono rimaste relegate ai compiti di cura, riconosciuti da pochi come lavori veri e propri.
Donne, vi siete mai sentite frustrate dal fatto che il vostro compagno non riesca a fare più di una cosa contemporaneamente? Non è colpa sua! Gli emisferi maschili sono mediamente più grandi, sì, ma meno connessi dei nostri: i maschietti sono cerebralmente portati per fare solo una cosa alla volta. E a volte la fanno proprio bene, perché le statistiche ricavate dai test del QI mostrano che tra gli uomini è più probabile trovare un genio, ma anche un cretino. L’intelligenza, tra le donne, invece, è meglio distribuita. Evidentemente, molti anni fa, ci siamo guardate in faccia e ci siamo dette che per vivere bene sarebbe stato meglio essere intelligenti tutte assieme. Donne, se vi è toccato un genio, auguri! Se vi è toccato un cretino… auguri lo stesso, perché questi test non sono indicativi del valore e delle capacità delle persone. Di intelligenza non ce n’è mica una! E, sebbene i maschietti cerchino di misurare tutto (ma proprio tutto), non tutto è misurabile. Bisogna rassegnarsi al fatto che tutto (ma proprio tutto) è tremendamente complesso. Che non ci sono soltanto cervelli maschili e cervelli femminili, ma ci sono anche i cervelli di tutte le sfumature nel mezzo. E questo non lo dico io, lo diceva il Professor Procacciante, convinto, tra l’altro, di avere un cervello tanto aggraziato quanto femmineo. Riconosceva in se stesso dei tratti tipicamente femminili: l’abilità di brillare in diplomazia, di cogliere gli stati d’animo e di interpretare correttamente una situazione sociale.
Il Professor Procacciante ci ha fatto capire che la normalità non esiste, nemmeno nella distinzione tra i sessi. Forse non esistono neanche quelli, perché «fuori dalle nostre teste», diceva con una certa eloquenza, «non esiste alcuna Natura: c’è solo materia ed energia».
Alla fine della conferenza, il Professor Procacciante è stato sommerso di domande dal sapore filosofico. E la memoria, Professore, la memoria? E la coscienza? Dove sta la coscienza? La percezione di sé, Professore, fa riferimento alla conformazione del nostro cervello?
E il Professor Procacciante, nonostante le sue tendenze metafisiche, non poteva far altro che credere nella scienza che per tanti anni ha studiato. «Siamo un computer che si rende conto di quello fa. Mi sembra ovvio che senza il cervello non ci sarebbe tutto quello di cui stiamo parlando…».
L’uditorio non si è accontentato di questa risposta e più aumentavano le domande più i vecchietti si facevano arzilli e determinati a snocciolare i segreti dell’esistenza, lì, quella sera, prima dell’aperitivo. Menomale che, a un certo punto, qualcuno ha annunciato che il cibo era pronto e servito nell’altra stanza: mancava veramente poco a una rissa concettuale.
Un delizioso banchetto era proprio quello che ci voleva per placare gli animi: un colorato cous cous con pomodori e menta, delle profumate polpette di manzo ricoperte di carote, fumanti teglie di parmigiana, un’insalata per i più diabetici, qualche cestino di pane fresco, due vassoi di biscotti e dei bicchierini da caffè ricolmi di zabaione. Ognuno poteva prendere ciò che voleva e saziarsi come fosse una cena. E mentre mangiucchiavo tranquilla poggiata allo stipite di una porta, un signore di nome Roberto ha iniziato a conversare con me.
«Signorina, lei lo sa che in questi giorni si celebra la fine della seconda guerra mondiale? Ormai sono tutti ignoranti… io sono un appassionato di storia, sa? Eh, quante ne so, signorina!»
Io annuivo e sorridevo, nonostante la signora che gli sedeva davanti e che rendeva palese il fatto che non lo sopportava affatto: lo trovava fastidiosamente arrogante e glielo diceva in faccia confidando nella sua parziale sordità. Lei, Rossella, era una professoressa di Lettere ormai in pensione; lui, invece, era un ingegnere dei trasporti, anche lui da tempo in pensione. Da come parlava, Roberto sembrava aver avuto una vita interessante. Durante uno dei suoi viaggi di lavoro, grazie alla targa di una piazza francese, scoprì che “patria” significa “terra dei padri”, che la patria è il nostro passato, la nostra genealogia. La patria è la terra che ci ha sognato e generato dai giorni già trascorsi.
«E ora invece nessuno pensa alla patria! Signorina, la patria! Nessuno si cura del passato…»
«Lo vede che è un arrogante, pensa che siano tutti ignoranti tranne lui» mi ha detto Rossella portando un cucchiaino di zabaione alla bocca.
In un impeto d’orgoglio, Roberto si è alzato rivelando tutta la sua altezza. Non mi sembrava più tanto vecchio. In verità, nessuna di quelle teste bianche mi sembrava tanto vecchia. Fumanti, quello sì. Fumavano di pensieri, di idee, di ragioni, di posizioni, soprattutto su quello che il Professor Procacciante non aveva detto. Da quelle teste fumanti fu tirato in ballo persino Cartesio, poveretto, che non ce la fa più a essere convocato dall’aldilà ogni qualvolta che c’è da distinguere tra la sostanza estesa e la sostanza pensante.
Il signor Roberto non ammetteva che mi distraessi in queste riflessioni e, così, indicando se stesso con un gesto teatrale, mi ha chiesto:
«Signorina, lei lo sa quanti anni ha questo giovanotto? Ottantotto, signorina. Ot-tan-tot-to. E fino a qualche anno fa andava ancora a sciare! Quant’è bello sciare signorina…»
«Io non ho mai sciato»
«E non va bene, signorina! Sciare è una cosa magica: la neve va accarezzata come il corpo di una donna»
Su questa affermazione, la signora Rossella ha rischiato di farsi andare di traverso l’ultimo cucchiaino di zabaione. A me veniva da ridere, con tenerezza. Erano proprio buffi. Mi sembravano, malgrado l’età, ancora alla ricerca di un senso, proprio come l’ornitorinco che, secondo il Professor Procacciante, un senso non l’ha ancora trovato.
L’ornitorinco è un animale così strano che è l'unico rappresentante della sua famiglia (Ornithorhynchidae) e del suo genere (Ornithorhynchus). È un mammifero ma fa le uova, allatta i cuccioli ma senza capezzoli: secerne il suo latte dalla pelle come fosse sudore. Nelle zampe palmate posteriori nasconde degli speroni velenosi che usa per iniettare un veleno letale per gli animali più piccoli. E per di più ha il becco! Un becco che becco non è, che la consistenza di una gomma molto dura. Evoluto in quanto complesso, complesso in quanto evoluto: l’ornitorinco è il manifesto della normalità. L’ornitorinco dimostra, con la sua stranezza, che tutto ciò che esiste è normale. È normale in quanto a norma di mondo, a norma di esistenza. L’ornitorinco mostra che siamo stati noi, gli uomini, ad aver piegato il significato della normalità. E di questo, a Come un albero, si è perfettamente consapevoli.
Come un albero, infatti, non è solo un ristorante, è un luogo di normalità, quella vera, quella che esiste. Come un albero è anche un museo, pensato e arredato come una casa, in cui ogni ambiente rimanda a uno specifico argomento legato alla disabilità. «O meglio, allo sguardo che la de-finisce». E, se capitate a Roma, vi consiglio vivamente di farci un salto, tra un giubileo e una messa del nostro nuovo Papa.
Oh, ma avete visto quanto è bellino? Sembra proprio contento di essere diventato Papa, sembra contagiato dall’entusiasmo di un mondo che aspettava con ansia la sua elezione.
Stavo tornando a casa dall’università quando è arrivata la fumata bianca. Tutte le persone che incontravo erano ferme, col telefono in mano, a guardare quel comignolo ridicolo che chissà quante telecamere hanno inquadrato per giorni. Quel comignolo è proprio ridicolo, quasi brutto. Insulso, sottile, scarno. Dico io, qualche ghirigoro qua e là ce lo potevano pure mettere. Così, per decorarlo un po’.
Ho seguito il primo discorso di Papa Leone XIV proprio come farebbe un ornitorinco, in modo estremamente complicato: l’ho ascoltato in chiamata col mio fidanzato che si trova in Germania. Lui ha messo il microfono del suo cellulare vicino alle casse del tablet da cui seguiva l’evento e io recepivo il tutto attraverso la mediazione di una catena di dispositivi diversi. Il discorso, per fortuna, però, era semplice:
«La pace sia con tutti voi! Fratelli e sorelle carissimi, questo è il primo saluto del Cristo Risorto, il Buon Pastore, che ha dato la vita per il gregge di Dio. Anch’io vorrei che questo saluto di pace entrasse nel vostro cuore, raggiungesse le vostre famiglie, tutte le persone, ovunque siano, tutti i popoli, tutta la terra. La pace sia con voi! Questa è la pace del Cristo Risorto, una pace disarmata e una pace disarmante, umile e perseverante. Proviene da Dio, Dio che ci ama tutti incondizionatamente».
All’improvviso, udendo queste parole, la contentezza di chi mi circondava per strada si è trasformata in me in un grande senso di sconforto.
Che tristezza questo messianismo. Stiamo tutti a guardare il Papa con occhi speranzosi, a sperare che possa essere la nostra nuova guida, il nostro ‘uomo della provvidenza’. Che tristezza aspettare che il Papa faccia qualcosa per la pace. Che tristezza rimanere immobili nella convinzione che la pace si aspetta. No, la pace si fa, si deve fare ogni giorno, anche senza Papa. Prima di Leone XIV, doveva farla Robert Francis Prevost. La pace è responsabilità di tutti anche se è talento di pochi.
«Siamo tutti nelle mani di Dio. Pertanto, senza paura, uniti mano nella mano con Dio e tra di noi andiamo avanti! Siamo discepoli di Cristo. Cristo ci precede».
Ci precede in noi, fa luce su ciò che possiamo essere: figli di Dio, dell’amore, della vita infinita che è in tutte le cose, della loro esistenza, della loro normalità.
Kafka diceva che Gesù sarebbe arrivato soltanto quando non ne avremmo avuto più bisogno. Aveva ragione. Il nostro compito non è aspettarlo, ma diventare come lui. Il nostro compito non è aspettare la pace, ma difenderla.
Evolversi non è migliorarsi, Pace non è assenza di lotta.
Palestina libera
Jamila Ruggiero
Bellissimo testo
Ornitorinco da sempre.