*Inserire meme di Leonardo di Caprio che indica il televisore*
Una riflessione su Severance e sulla necessità di commentare serie e film durante la visione
Ripensa all’ultima serie che ti ha incollato al divano. Magari era un thriller pieno di colpi di scena, o una storia di fantascienza talmente contorta che ogni episodio sembrava un enigma da decifrare, ma in realtà poteva trattarsi di qualsiasi cosa. Ti ricordi quella sensazione? L’urgenza di condividere una teoria sulla puntata con chi guardava insieme a te. O di scrivere su WhatsApp al tuo amico “Oh guarda che secondo me è lui il vero colpevole”. Ecco, non sei strano. Sei semplicemente umano. Perché, che ci piaccia ammetterlo o no, dentro ciascuno di noi vive un piccolo investigatore con la mania di trovare risposte. E le serie TV, soprattutto quelle più intricate e sfuggenti, sono l’ambiente ideale per scatenarlo.
La nostra testa non funziona come un semplice registratore che incamera informazioni in ordine cronologico. In realtà, il cervello lavora di continuo per anticipare ciò che sta per succedere. È un gigantesco motore predittivo, un oracolo biologico che ci aiuta a dare un senso al mondo. Questo meccanismo si chiama, appunto, “cervello predittivo”: ogni percezione, ogni pensiero, ogni emozione nasce dall’incontro tra le informazioni che riceviamo e quelle che ci aspettiamo di ricevere. Quando guardiamo una serie TV, questo processo si trasforma in un gioco irresistibile: cerchiamo di interpretare dettagli, intuire sottotesti e prevedere finali. È come se il nostro cervello dicesse: “Aspetta, fammi indovinare!”. Se ti è mai capitato di esultare perché la tua teoria si è rivelata giusta (“Lo sapevo!”) non è solo orgoglio personale. È chimica. Quando le nostre aspettative coincidono con la realtà, il cervello rilascia una bella dose di dopamina, l’ormone del piacere e della ricompensa. Il bello è che anche quando sbagliamo, e la storia ci sorprende con un plot-twist inaspettato, proviamo un altro tipo di gratificazione: quella della meraviglia. È un continuo saliscendi tra l’illusione di controllare la trama e la gioia di farsi spiazzare.
Questo impulso ha radici molto antiche. Nell’evoluzione della nostra specie, la capacità di riconoscere pattern era una questione di sopravvivenza: capire in anticipo dove si nascondeva un predatore o quando un rumore significava pericolo poteva fare la differenza tra la vita e la morte. Oggi non dobbiamo preoccuparci di evitare di diventare il pranzo di qualche bestia, ma il cervello è rimasto lo stesso. Così, invece di analizzare impronte nella terra, ci mettiamo a decifrare messaggi nascosti nei corridoi di un ufficio sotterraneo. Prendiamo Severance, per esempio. Per me se c’è una serie che ultimamente ha incarnato questo istinto di previsione compulsiva, è proprio lei. Fin dal primo episodio, Severance ti trascina in un universo che sembra familiare ma è profondamente alienante: un’azienda in cui i dipendenti si sottopongono a un’operazione che separa i ricordi del lavoro da quelli della vita privata. E tu, spettatore, ti ritrovi a farti mille domande: “Perché hanno accettato di farsi dividere in due?”, “Cosa succede davvero nei corridoi di Lumon?”, “È tutto un esperimento? O qualcosa di ancora più inquietante?”. Ogni dettaglio (un simbolo appeso a una parete, un corridoio che non porta da nessuna parte, una frase sussurrata) sembra un indizio. E più la storia va avanti, più il tuo cervello predittivo si convince di avere trovato la chiave per risolvere l’enigma. Solo che Severance gioca proprio con questa convinzione: ti illude di averti dato un appiglio e poi lo strappa via, lasciandoti a brancolare nel buio. E tu ci caschi felicemente, episodio dopo episodio, con la sensazione di stare partecipando a un gigantesco esperimento mentale.
Ma non finisce qui. Perché fare ipotesi in solitudine è bello, ma farle in compagnia (duh!) è ancora meglio. Oggi possiamo commentare una serie in tempo reale con centinaia di altre persone per cercare la teoria più simile alla nostra, in particolare su social come Twitter, Reddit o nei gruppi Telegram. Ogni volta che condividiamo una teoria o leggiamo quelle degli altri, scatta un senso di appartenenza: siamo una comunità che prova a risolvere lo stesso mistero. In un certo senso, il “cervello predittivo” diventa un cervello collettivo. Ecco perché quando qualcuno spoilera un colpo di scena, ci sentiamo defraudati. Non è solo la rabbia di sapere in anticipo come va a finire, è la sensazione di essere stati esclusi dal gioco. Forse è questo che rende, per alcuni, le serie più “coinvolgenti” dei film: ci danno il tempo di accumulare indizi, confrontare teorie e testare ipotesi puntata dopo puntata. È un allenamento per la nostra mente predittiva, una specie di puzzle in evoluzione. E alla fine, anche se la verità è diversa da quella che avevamo immaginato, poco importa. Perché il divertimento non è solo arrivare alla soluzione, ma godersi il percorso, tra supposizioni azzardate e colpi di scena geniali.
Quindi, se la prossima volta ti trovi a interrompere un episodio dell’ultima serie che stai guardando per dire qualcosa... puoi farti venire meno sensi di colpa. Non stai esagerando. Stai solo facendo quello che il tuo cervello ama di più: prevedere e interpretare. E forse è proprio questo il motivo per cui, davanti a una buona serie TV, non riusciamo a stare zitti: partecipiamo a un gioco millenario, quello di dare un senso a ciò che ancora non conosciamo.
Maria Vitale
Che magia!