La mia gatta è sempre stata una bestia.
Oggi, mentre consumavo il mio pranzo nell’altra stanza, lei ha consumato il suo, sul pavimento della cucina. Sono arrivata quando aveva già finito ed era intenta a leccarsi i lunghi baffi. Sparpagliate sulle mattonelle rosse: una zampetta, una testolina e qualche piuma. È giugno, i passerotti sono di stagione. Molti cadono dalle grondaie dei tetti appena nati, ma quelli, la mia gatta, li ignora. Troppo piccoli, becchi e ossa. Li lascia generosamente alle formiche e alle lumache. A dire il vero, alle lumache lascia anche il cibo della scatoletta. Loro si immergono nella sua ciotola col favore della sera e dell’umidità. Dopo aver mangiato, strisciano per la cucina con noncuranza. All’alba, vanno via e le mattonelle rosse trattengono una traccia di tutti i loro percorsi. Alla mia gatta piacciono altri passerotti: quelli che hanno già iniziato a volare ma che non sanno come farlo per scappare da lei. Le piace rincorrerli, assediarli, lasciare che escano dagli angoli in cui si sono rintanati per poi acciuffarli. Di solito, ce li consegna interi e ce li sbatte in faccia come a dire che se non ci fosse lei nessuno mangerebbe in questa casa. Io la ringrazio, cerco di mostrarmi grata del suo lavoro, ma poi corro nel cortile a verificare che non ci siano altri poveri malcapitati.
Oggi mi ha condotto da uno di loro. Ha cominciato a camminare attorno a un insieme di vasi alla ricerca di qualcosa. Era in assetto di guerra. Un movimento maldestro e uno scroscio di foglie le hanno confermato che quello che cercava era ancora lì. Ho battuto i piedi per terra, per fare rumore e allontanarla. In genere funziona, ma lei era molto determinata. Allora, l’ho delicatamente spinta con una mano, facendo crescere in lei frustrazione e rabbia. Mi ha soffiato. Per un attimo ho pensato che avrebbe dimenticato il passerotto e attaccato me. Sono tornata in cucina, ho preso la scopa e sono tornata a quella trincea completamente squilibrata. La scopa ha sortito il suo effetto in modo immediato. La mia gatta si è scostata con ferocia dal passerotto terrorizzato contro il muro. A questo punto, l’ho presa di peso e l’ho portata dentro, in cucina, dove le prove del suo delitto erano ancora in bella mostra, sulle mattonelle rosse.
Era arrivato il momento di cancellarle. Ho raccolto con un fazzoletto i resti umidi di quel corpicino ridotto in pezzi e li ho riposti nel cestino dell’umido. Poi, ho preso un po’ di candeggina con cui ho disinfettato il pavimento. La mia gatta, che mi ostino a chiamare “mia”, mi guardava con uno sguardo che non è proprio della sua specie: in cagnesco, davanti alla porta, e pretendeva, con quel suo sguardo, che io la aprissi per far riprendere la sua battuta di caccia. Invece, l’ho accarezzata. Lei ha trattenuto un rantolio in gola e si distesa dove prima giacevano i resti del passerotto.
La mia gatta è sempre stata una bestia: non ha mai avuto ragione per sopprimere la propria natura. La natura è in lei, oltre ogni addomesticamento. Mi chiedo se valga la stessa cosa anche per noi. Se l’umano non è altro che un disperato tentativo di affrancarsi dalla bestialità. Mi domando se tutta questa rabbia che ci circonda non sia come quella sorta nella mia gatta quando ho cercato di fermarla. Dov’è il senno? È finito sulla luna? Non saremo Orlando, ma siamo furiosi: questo è innegabile. È sufficiente guardare ai fiumi di sangue che scorrono per le strade di Gaza, agli edifici che saltano in aria sotto le bombe iraniane e quelle israeliane, ai migranti osteggiati in ogni mare e in ogni terra, ai bambini che cadono senza neanche aver spiccato il volo e a quelli che tremano contro un muro di indifferenza.
La mia gatta è sempre stata una bestia.
Jamila Ruggiero
Bellissimo. Complimenti. Confermo che Zorba è una bestia! :-)
Noi anche...